giovedì 23 febbraio 2012

Capitolo inedito: Una regina a Ferrara

13. Sonja di Norvegia (prima parte)

Nel corso degli ultimi anni sono passati per la mia città molti personaggi importanti: premi Nobel, ambasciatori, scrittori, attori, registi, capi di stato: a partire da Ciampi e Napolitano, ovviamente. Per il bilancio di legislatura abbiamo anche preparato un bel manifesto con i loro ritratti dal titolo: "Cinque anni di lavoro in comune" (giocando un po’ banalmente sulla "c" maiuscola o minuscola della parola comune). E l'abbiamo attaccato in tutta la città (negli spazi appositi e regolamentari). È un bel manifesto a sfondo bianco con tante foto a colori sovrapposte una all'altra. Chi guardava bene poteva riconoscere: Ciampi, appunto, che ha inaugurato l'anno speciale dedicato ai giovani, Napolitano che ha inaugurato il centro studi Ermitage Italia, Gorbacev, Perez Esquivel, la Montalcini, Romano Prodi che è venuto ben due volte a parlarci dei problemi dell'Europa da Presidente dell’Unione, Giuliano Amato, la premio nobel iraniana per la pace Shirin Ebadi, il Presidente dell'Uruguay e altri, tra cui Massimo Cacciari, Luca Ronconi e Mariangela Melato, Claudio Abbado che dirige con la bandiera della pace distesa sul palcoscenico del Teatro comunale.
In una delle foto centrali si può notare una signora minuta e molto elegante. Non sono in tanti a conoscerla: è Sonja, la Regina di Norvegia. Che è stata in città non più di cinque o sei ore, ma ha impegnato tutto il mio staff (segreteria e gabinetto) a tempo pieno per una quindicina di giorni. E non solo il mio staff. Anche se, ci hanno spiegato, quella di Norvegia è una delle corti e delle famiglie reali più "sobrie e alla mano" d'Europa. E penso sia vero. Malgrado l’impegno io sono diventato, dopo quella visita, vagamente filo monarchico. Anche perché la visita dell'allora Presidente della Repubblica Ciampi (e della Signora Franca soprattutto) è stata molto più complicata da gestire (per tutta la città: Comune, Provincia, Prefettura soprattutto) di quella della Regina. Con le bizze non simpatiche che la Signora Franca si inventava ad ogni passo. Fin da quando, appena arrivata e seduta su un divanetto in Prefettura, si è girata e ha detto bruscamente al Presidente Errani: “La smetta di toccarmi!”. Lui si è girato a guardare me, come dire “non penserai che sia vero?” io ho fatto la faccia impassibile di chi non vuole entrare in queste relazioni interpersonali. O quando, a cena in Prefettura, ha fatto piangere la moglie del Prefetto dicendo che raramente aveva mangiato così male. La mia fede repubblicana si è rinsaldata con la visita della coppia presidenziale successiva (Giorgio e Clio Napolitano). Fino ad allora ho tifato per la professionalità della casa regnante di Norvegia. Racconto l'episodio di Sonja perché penso che pochi sappiano quanto lavoro c'è dietro una cerimonia ben riuscita e quanta energia richiede.

La storia di Sonja comincia da una delle mostre organizzate dalla nostra galleria d'arte contemporanea, conosciuta come il "Palazzo dei diamanti", per la facciata ricoperta di blocchi appuntiti di marmo bianco in cui si organizzano le mostre. È uno degli edifici del '500 più belli della città, collocato al centro di Corso Ercole d'Este, l'asse principale dell'addizione urbanistica rinascimentale. L’unico di marmo, assieme alla cattedrale del XII° secolo. L’attività del Palazzo dei diamanti è ormai consolidata nel tempo: due bravi direttori si sono susseguiti negli ultimi venti anni e il Palazzo dei diamanti è quasi sempre una delle sedi di mostre più visitate d'Italia. Il direttore attuale mi obbliga (giustamente) a programmare le mostre con cadenza triennale, in modo che lui possa intrecciare rapporti con musei e collezionisti di tutto il mondo per avere prestiti sempre più difficili (e dopo l'11 settembre 2001 sempre più costosi) dei quadri più importanti. Altrimenti bisogna andar dietro alle proposte dei mercanti di mostre (chiavi in mano) e tutto diventa meno presentabile e di bassa qualità. Magari un successo di pubblico, perché la gente accorre per vedere una mostra di Gauguin (per dire), anche se alla fine di quadri meritevoli ce ne sono solo un paio. Noi programmiamo, per tempo, due mostre l'anno: una che incontri il consenso di un pubblico largo (e recuperi un po' delle spese) l'altra invece più attenta ad approfondire autori, scuole di pittura e periodi meno conosciuti al grande pubblico (con questa seconda mostra, di solito, andiamo in rosso). Inutile che enumeri tutti i successi del bravo direttore (a partire dal Monet del 1993 fino al Raushemberg del 2003) e qualche incredibile flop (come l' esposizione di Picasso ceramista che era bellissima ed era stata la mostra dell'anno negli Usa, ma da noi non ha avuto che 40.000 visitatori, perché il grande pubblico italiano non va mai volentieri oltre gli impressionisti e Caravaggio, come ho imparato). Dirò che quell'anno avevamo in calendario una esposizione sulla pittura norvegese (titolo: "da Dahl a Munch"), che da noi è ancora pochissimo conosciuta e invece è piuttosto ricca di opere sia del '900 che del secolo precedente. Sapevamo tutti da tempo di quella iniziativa preparata in collaborazione con il Museo nazionale di Oslo e l’ambasciatore in Norvegia Andrea Mochi Onory si era molto adoperato per tentare di avere la famiglia reale presente all'inaugurazione nella nostra città. Dopo un lungo lavoro sul programma (fissa le date, spostale, spostale ancora), finalmente arriva la conferma: il Re e la Regina di Norvegia saranno in visita ufficiale in Italia dal giorno 23 ottobre 2001. Il 24 staranno a Roma ad incontrare le più alte cariche della Repubblica, poi si divideranno: il Re va a Milano ad un incontro con gli industriali italiani, la Regina viene da noi. L'ambasciatore ci segnala i nomi delle responsabili del cerimoniale della Regina (tutte donne, tutte oltre il metro e ottanta di altezza) con cui i nostri uffici si debbono mettere in contatto. Così facciamo e comincia una trattativa a distanza precisa ma difficile per riuscire a incastrare tutti i desideri e le necessità. Però loro almeno hanno le idee chiarissime (cosa non riscontrabile in altri cerimoniali italiani con cui abbiamo avuto a che fare: che hanno un numero spropositato di interlocutori - tutti più bassi di un metro e ottanta - e ciascuno con un'idea sua propria di cosa fare e cosa no). Così fin dall'inizio decidono che è il Comune (e quindi il Sindaco) a ricevere la Regina e nessun altro. Sarà poi il pranzo ufficiale l'occasione in cui presentarle le altre autorità cittadine. Non mi si chieda perché i capi di Stato stranieri considerano il sindaco della città il loro interlocutore locale, il rappresentante dello Stato e del Governo (come da legislazione vigente) e invece i Capi dello Stato italiani preferiscano avere come interlocutore il Prefetto, perché non l’ho capito e mi incavolo solo a pensarci.
Con il cerimoniale del Presidente Ciampi ci fu anche un incidente diplomatico. La signora che lo guidava pretendeva che il saluto a Ciampi nel salone d'onore del Municipio lo facesse (chissà perché) il preside del Liceo classico cittadino, in quale (da persona perbene) me ne informò imbarazzato, e non il sindaco. Ho dovuto dire alla signora che allora la cerimonia si sarebbe svolta al Liceo Ariosto e non in Comune, per farle cambiare quell'idea balzana.
Torniamo a Sonja. Insomma il mio staff si mette seriamente al lavoro e tutti (me compreso) impariamo molte cose nuove di cui non sospettavamo nemmeno l'esistenza. Fino al giorno della prova generale, alla presenza di una signora del cerimoniale che mi consegna una specie di copione scritto di cosa dovevo fare. Ricordo che stavamo sotto il Teatro comunale, dove avrei dovuto aspettare il corteo assieme a mia moglie Eileen per poi condurre la Regina Sonja al foyer del Teatro, dove si teneva la colazione, e andare infine alla mostra. Eileen non c'era e Andrea, il mio autista, ne faceva la parte, mentre Silvia (la mia segretaria) e Micol (dell'ufficio di gabinetto) leggevano dal copione le cose da fare, sotto l'occhio vigile e severo della signora norvegese. "Un addetto apre lo sportello, il Sindaco si avvicina a un metro dalla macchina, la Signora resta alle spalle, il Sindaco saluta la Regina, poi si gira e le presenta la moglie, poi si avvia con la Regina lungo la guida rossa verso le scale del Teatro, sale le scale parlando con la Regina tutti gli altri seguono..."

Nel frattempo era arrivato anche un invito della Casa reale norvegese (a sindaco e signora) per recarsi a un ricevimento a Roma al Grand Hotel la sera prima della nostra cerimonia, per essere ufficialmente presentati al Re e alla Regina. Io ho tenuto l'invito nella borsa per qualche giorno, senza farci troppo caso. Fino a quando mi chiama Eileen da Milano per sapere qualche particolare: quando partiamo, quando torniamo e soprattutto come ci si deve vestire. La richiamo dopo un po' e le dico (da ragazzo di provincia) che sull'invito c'è scritto semplicemente "black tie" e che mi devo solo comprare una cravatta nera perché non ce l'ho: e siamo a posto. Lei mi dice che "black tie" non è una cravatta ma un vestito e che deve chiedere a sua madre che vestito è esattamente. Sua madre (che è stata “ambasciatrice”, come si dice nel gergo diplomatico per la moglie di un ambasciatore) di queste cose se ne intende e ci spiega infatti che "black tie" è un tipo ben preciso di vestito da cerimonia. E qui nasce un primo problema: perché mia suocera è americana e sa che vestito è nei paesi anglosassoni, ma non sa dirmi come si chiama in italiano. Si intrecciano le telefonate. Dalla descrizione sembrerebbe trattarsi di uno smoking (o qualcosa di molto simile). Io non ho lo smoking e non ho nessuna intenzione di comprarne uno (ammesso che si trovi in pochi giorni) e tanto meno farmelo fare. Optiamo per l'affitto. Silvia, la mia segretaria, fa una ricerca telefonica e troviamo a Bologna il posto che noleggia smoking e altri abiti di cerimonia e di scena e vado un bel giorno a fare le prove delle misure e il resto. Il negozio è in periferia, in uno stabile moderno, ma all'interno cambia tutto: corazze da centurioni, divise napoleoniche, centinaia di sacchi di plastica contenenti ogni genere di indumento storico. Ricordo due scatoloni con scritte a pennarello: "copricapi del 500" uno e "calzari romani" l'altro. Trovo lo smoking della mia misura: pantaloni, fascia nera da mettere al posto della cintura (particolare importante da tenere a mente), camicia plissettata, giacca e papillon. Non le scarpe: quelle me le devo comprare per forza: calzari romani sì, stivali da moschettiere a scatoloni, scarpini da smoking no! Mi lavano lo smoking e sistemano tutto per la mattina stessa della partenza per Roma.

Tre giorni dopo, scendendo in auto, passiamo a ritirare il sacco con tutto il vestito e gli accessori. A me pare sia così pesante che mi immagino di avere caldo e di sudare terribilmente alla cena che temiamo essere al chiuso. A Roma per giunta, farà ancora più caldo che qui. Comunque ci consoliamo con l'idea che non durerà molto e che è un sacrificio che bisogna fare. Arriviamo in albergo il pomeriggio (un bell'albergo a Trinità dei Monti, ben diverso dai miei soliti alberghetti romani) e decidiamo di fare due passi. Verso le 5 torniamo a riposarci e riceviamo, per fortuna nostra, una provvidenziale telefonata della moglie dell'ambasciatore Mochi Onory che dice a Eileen: "Ha saputo, vero cara, che per via dell'incidente di Linate questa sera sono cambiate le disposizioni... spero lei abbia portato anche un vestito lungo". Eileen bluffa e dice che certo aveva "anche" un vestito lungo e invece aveva "solo" un vestito lungo e poi chiede (per sicurezza) gli uomini cosa debbano fare e la signora risponde che anche per gli uomini niente più "black tie" ma un semplice vestito scuro in segno di rispetto per le vittime dell'incidente aereo. Perché c'era stato pochi giorni prima quell'orrendo incidente a Linate in cui un aereo in decollo per Stoccolma aveva urtato un piccolo aereo che gli attraversava la pista ed erano morti molti Svedesi e Norvegesi.

Eileen abbassa la cornetta e mi spiega pallida il senso della telefonata. Io mi sento perduto perché ho un solo vestito (blu scuro) tutto stropicciato dal viaggio, non ho una cintura nera e non ho una camicia adatta. Mentre come scarpe comincio a chiedermi se posso riciclare quelle di vernice dello smoking. Chiamo il portiere dell'albergo e gli chiedo se hanno un servizio di stireria. Loro mi rispondono di sì, ma che funziona solo la mattina. Allora domando se mi possono portare un ferro da stiro e un asse. Me lo portano e mentre io mi metto a stirare il mio vestito blu ridotto un disastro, Eileen esce a comprami una camicia bianca e una cintura nera da sera. Decidiamo che le scarpe e la cravatta si possono riciclare. In qualche modo riusciamo a rimediare: per fortuna a stirare me la cavo benino fin dai tempi dell'università, quando abitavo da solo. (segue)

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