giovedì 5 luglio 2012

dall' Unità del 5 luglio 2012


Emilia, i Comuni motori della ricostruzione

di Gaetano Sateriale

«SE CI SARANNO ALTRE SCOSSE SARÀ UN
DISASTRO. SE NON CI SARANNO SI DIMENTICHERANNO
DI NOI: LO HANNO GIÀ FATTO». Così
un cittadino emiliano, così in molti.
Alcuni giornali non parlano
quasi più del terremoto e solo il caldo
torrido sull'Emilia fa notizia. Fra qualche
mese scriveranno delle piogge e del freddo
sulle tendopoli: tutto già visto, tutto
nella norma.
Invece nulla è tornato normale. Le case
cadute sono ancora a terra, le bande bianche
e rosse sono ancora legate attorno
agli stabili pericolanti, l'economia fatica a
riprendere. Nessuno sa quante scuole potranno
essere aperte in autunno, quante
chiese, quanti teatri, quanti musei.
Molti danni diffusi ovunque (oltre ai
grandi crolli), molti edifici dichiarati prudentemente
inagibili, anche troppi.
I centri storici delle città colpite si sono
svuotati: in tanti quartieri í bar sono chiusi
il sabato pomeriggio perché non c'è nessuno.
Molta gente si è avvolta in un fatalismo
che non gli appartiene.
Impossibile stimare l'ammontare dei
danni e delle cifre necessarie per tornare
alla situazione di prima. Sono valori impressionanti,
ben lontani dai fondi stanziati
dal governo (mai arrivati) e dagli sforzi
encomiabili della solidarietà.
Oltre alla produzione si sono interrotte
le relazioni fra imprese, non solo quelle
industriali.
Se il Museo Sorolla di Madrid chiede,
in via amichevole, la restituzione anticipata
dei quadri esposti al Palazzo dei Diamanti
di Ferrara (pur agibile) è segno che
con il terremoto si sono incrinati anche i
rapporti di fiducia costruiti negli anni.
L'azzeramento del turismo culturale in
una capitale italiana della cultura è stato
conteggiato tra i danni del terremoto?
Con il sisma si è messa in pericolo l'identità
culturale di una comunità. Valori che
non si misurano in punti di Pil.
Non serve essere emiliani per sapere
che quelle terre e quella gente ce la faranno
a recuperare la loro ricchezza e la loro
coesione sociale: sapranno "tener botta". E ce la
faranno soprattutto contando sulle proprie
risorse economiche, professionali e
culturali. Hanno superato molti immani
disastri nei secoli: alcuni "naturali" come
le alluvioni, altri meno, come le guerre.
Il vero punto è un altro: qual è il migliore
aiuto per favorire questo processo di
autoricostruzione, oltre alla solidarietà?
Il governo (centrale, regionale e locale)
cosa può fare?
Sono senz'altro necessarie risorse ingenti e non virtuali,
 ma anche linee di indirizzo
e coerenze, per evitare errori. Si può
restaurare ciò che si è lesionato e ricostruire
ciò che si è distrutto; oppure si può
edificare seguendo criteri antisismici; e si
può dare inizio a una edilizia a risparmio
energetico e non tradizionale.
Per intraprendere questa via non serve
rendere più laschi i vincoli urbanistici e le
norme sui subappalti: l'Irpinia prima del
terremoto de11980 era abitata per paesi e
borghi, oggi lo è per case sparse ovunque.
Si può "rispondere" al terremoto innovando
il sistema regionale per aumentare la
coesione tra i territori: i trasporti, le telecomunicazioni,
i servizi web e wifi, la salute
e il welfare per gli anziani.
Si può razionalizzare il sistema dei servizi
pubblici e anche immaginare una
maggiore integrazione tra ricerca, università
e lavoro. Si può ricominciare a produrre
cultura. Per imboccare questa strada
occorre un progetto di riqualificazione
condiviso.
Servono le volontà dei commissari e soprattutto
il coinvolgimento delle istituzioni
locali. A partire dai Comuni che, da molti
secoli, sono i veri motori del sistema regionale
emiliano romagnolo.

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