giovedì 26 luglio 2012

Esaurita la funzione di Monti

Forse a novembre 2011 non c'erano davvero alternative a un esecutivo d'emergenza. Ma questo non dà maggiore qualità al Governo Monti: non ne aumenta i meriti, non cancella i difetti. La nostra immagine internazionale è risalita e si è iniziato il recupero dell'evasione fiscale. Ma non c'è equilibrio malgrado i pesanti sacrifici in tagli e tasse. Non si profila nessuna crescita, si aggravano recessione e disoccupazione. Di equità è meglio non parlare. In sintesi: la politica del Governo (dei Governi europei) non funziona e la sua “spinta innovativa” sembra esaurirsi. Forse era sbagliata la formula dell'esecutivo puramente tecnico, forse la squadra è mal assortita. Ormai è tardi per porvi rimedio. Se si voterà a primavera non è chiaro in che condizioni il Paese ci arriverà. Probabilmente con l'economia in recessione formale e un sistema politico che non riesce a tornare protagonista delle riforme. Mentre la svolta sarebbe necessaria adesso. Cosa possono fare i “produttori” contro la crisi e di fronte a un Governo che ignora l'economia reale, forse perché non la conosce? Non accontentarsi di attendere un ciclo espansivo importato dall'estero o gli aiuti nazionali che non verranno. L’economia reale deve necessariamente ripartire dalla situazione concreta delle imprese e dei territori. Perché la competitività e la produttività delle imprese (in assenza di politica economica), dipendono da imprenditori, manager e dipendenti, nessun altro. Anche quella del settore pubblico. È possibile condividere tra parti sociali un percorso per la crescita della produttività dell'industria e dei servizi? È possibile individuare obiettivi concreti e tradurli in accordi efficaci? È necessario e urgente, perché il Paese (in attesa della Nuova Europa) potrebbe affondare. Lo si può fare con un'intesa programmatica subito e la contrattazione, in coerenza con il 28 giugno. Lo si può fare se si evitano le scorciatoie degli ultimi anni: reciproche e speculari. Non è vero che dipende tutto dalla flessibilità del lavoro e degli orari; non è vero che nulla di quello che è stato pattuito nello sviluppo non possa essere adattato contrattualmente alla crisi. C'è bisogno di una strategia industriale, di investimenti per l’innovazione, di un'organizzazione della produzione che aumenti l'efficienza di impianti e lavoro. C'è bisogno dell'intelligenza e della partecipazione a tutti i livelli: del sapere e del saper fare. C'è anche bisogno di retribuzioni più commisurate alla produttività per rilanciare i consumi. Riusciranno le parti sociali a sottoscrivere linee guida comuni per la crescita prima che sia tardi? Dipende solo da loro: provarci è un obbligo persino morale. Inutile sperare in un aiuto del Governo se il direttore d'orchestra ha paura di concertare. Per sedersi attorno a un tavolo e provare a lavorare insieme non c'è bisogno dell'autorizzazione di Palazzo Chigi. Se le parti sociali concorderanno fra loro un percorso per la crescita potranno chiedere con più autorevolezza al futuro Governo seri provvedimenti di sostegno, a partire dal riequilibrio della pressione fiscale. Altrimenti, fra qualche anno si dirà semplicemente che la classe dirigente italiana (parti sociali comprese) non è stata all'altezza della gravità della crisi.

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